Il “return trip effect” rivela perché percepiamo diversamente andata e ritorno, pur impiegando lo stesso tempo.
Viaggiare significa spostarsi nello spazio, ma anche confrontarsi con la nostra percezione del tempo. Non è raro che chi affronta un tragitto lungo si sorprenda di quanto l’andata sembri interminabile, mentre il rientro scivoli via quasi senza accorgersene.

Questo curioso fenomeno, noto come return trip effect, è stato oggetto di numerosi studi che hanno cercato di capire cosa accade nella nostra mente quando viaggiamo. Non si tratta di una semplice illusione: aspettative, emozioni e memoria giocano un ruolo fondamentale. Capire perché il tempo sembri dilatarsi o contrarsi a seconda della direzione del viaggio ci permette di osservare in modo diverso le nostre esperienze. Ogni tragitto, infatti, non è fatto solo di chilometri percorsi ma anche di percezioni interiori che ne modificano la durata apparente.
Perché il viaggio di ritorno sembra sempre più breve?
Chiunque abbia mai intrapreso un viaggio ha probabilmente sperimentato quella strana sensazione per cui il tragitto di ritorno sembra incredibilmente più breve rispetto a quello di andata. Questo fenomeno, noto come “return trip effect”, ha intrigato scienziati e psicologi per anni, portando alla luce interessanti spiegazioni su come la nostra mente percepisce il tempo durante i viaggi.
Il return trip effect si manifesta quando percepiamo il viaggio di ritorno da una destinazione come significativamente più breve dell’andata, nonostante la distanza e il tempo impiegato siano effettivamente gli stessi. La spiegazione di questo fenomeno risiede in una serie di fattori psicologici e neurobiologici che influenzano la nostra percezione del tempo.

Uno degli aspetti chiave riguarda le nostre aspettative. Quando ci avventuriamo verso una nuova destinazione o ci dirigiamo verso un evento che attendiamo con ansia o eccitazione, la nostra mente non è semplicemente focalizzata sul tragitto. Invece, comincia a proiettarsi nel futuro, cercando di anticipare ciò che accadrà una volta arrivati a destinazione. Questo stato mentale è accompagnato da emozioni intense e reazioni fisiologiche specifiche che possono alterare significativamente la nostra percezione del tempo.
Durante l’andata, quindi, tendiamo a sovrastimare la durata del viaggio perché le nostre aspettative temporali sono influenzate dall’eccitazione o dall’ansia legate all’evento o alla destinazione che ci attende. Al contrario, durante il viaggio di ritorno queste emozioni si affievoliscono; l’evento è passato e la mente è meno impegnata nell’anticipare qualcosa. Di conseguenza, senza questa intensa attività mentale ed emotiva ad alterare la nostra percezione del tempo, il ritorno sembra passare più velocemente.
Un’altra teoria suggerisce che il return trip effect possa essere attribuito a un “errore di calcolo” da parte del nostro cervello. Prima ancora di partire per un viaggio, tentiamo inconsciamente di stimarne la durata basandoci su precedenti esperienze o aspettative personali. Tuttavia, tendiamo sistematicamente a sottostimare quanto tempo sarà necessario per completarlo. Pertanto, quando finalmente intraprendiamo l’andata e questa supera le nostre aspettative temporali originali – poiché abbiamo sottovalutato quanto sarebbe durato – abbiamo l’impressione che sia stata più lunga.
Durante il ritorno invece basiamo le nostre previsioni sulla recente esperienza dell’andata; avendo già vissuto quella sensazione di lunghezza maggiore rispetto alle attese originali tendiamo ad anticipare una durata simile anche per il ritorno. Ma quando poi questo si rivela essere conforme alle nostre nuove stime (ovvero non superiore), ne consegue l’impressione soggettiva che sia trascorso più rapidamente.

L’andata sembra infinita, ma il rientro vola in un lampo? – liberodiscrivere.it
Interessante questo effetto tende ad attenuarsi nei percorsi familiari dove grazie alla ripetizione impariamo a fare stime sempre più accurate della loro durata reale riducendo così lo scarto tra tempo atteso e tempo effettivamente percepito.
Comprendere i meccanismi alla base del return trip effect offre uno spaccato affascinante su come funziona la nostra mente nel contesto dei viaggi e della percezione temporale, dimostrando ancora una volta quanto complesse siano le interazioni tra psiche umana ed esperienza esterna.